Ennio

Giuseppe Tornatore

Ennio Morricone, uno dei più grandi compositori della storia del cinema, racconta la sua carriera a partire dagli studi iniziati al conservatorio come trombettista fino ad arrivare all’ambito Oscar. Le testimonianze e le immagini d’archivio svelano ciò che del maestro non si conosce: la sua passione per gli scacchi, che forse ha misteriosi legami con la sua musica, e l’origine realistica di certe sue intuizioni musicali.

 

Italia/Belgio/Cina/Giappone 2021 (150′)

Ennio, il film di Giuseppe Tornatore, è un documentario incentrato sulla figura del grande maestro Ennio Morricone, il compositore italiano, scomparso il 6 lugli 2020, che con la sua grande dote musicale ha contribuito a creare il sound degli anni ’60. Un nome non solo della musica, ma anche del cinema, grazie al sodalizio con Sergio Leone, che ha permesso a Ennio di lasciare il segno con le sue note dagli spaghetti western fino al colossale ultimo film del regista, C’era una volta in America (1984). Il film racconta un’eccellenza italiana, fautore di oltre 500 colonne sonore – tra cui alcuni film dello stesso Tornatore – e onorato nel 2007 dall’Academy con un Oscar alla carriera. A delineare il ritratto di questo artista sono diversi volti del cinema, che hanno avuto il piacere di lavorare con lui, dagli italiani, come Bernardo Bertolucci, Vittorio Taviani, Nicola Piovani e Carlo Verdone, fino ai colleghi d’oltreoceano, come Clint Eastwood, Hans Zimmer, Oliver Stone, Quentin Tarantino e Bruce Springsteen. Ma tantissime altre sono le figure note che hanno voluto spendere almeno una parola per provare a descrivere un uomo divenuto leggenda.

Giuseppe Tornatore firma un documentario dall’elevata carica emotiva, contraddistinto dalle testimonianze intime, precise e corpose di Ennio Morricone e di tanti grandi artisti (tra cui Bernardo Bertolucci, Hans Zimmer, Bruce Springsteen, Quentin Tarantino, Dario Argento) alternate a immagini di repertorio di grande impatto e con un ottimo, sempre fluido e mai prolisso – nonostante la durata monstre – montaggio a sostegno. L’omaggio sincero al maestro è evidente dal modo in cui, rispettosamente, il regista si avvicina con la macchina da presa per concentrarsi spesso su gli occhi commossi di Morricone e sulle mani sempre in armoniosa sintonia di movimento con i suoi pensieri e parole, chiamati a puntellarne l’evocazione e la scansione delle musiche. Nell’incipit, non a caso, è addirittura un metronomo a scandire il tempo nel silenzio di una stanza circondata da libri e nella quale Morricone appare in totale intimità mentre esegue esercizi fisici insieme a momenti in cui, chino sulla sua scrivania, completa uno sparito a matita.
Dalla partitura commossa del doc di Tornatore si comprende appieno la mastodontica importanza di un’artista che ha lavorato con tormento, sacrificio e dedizione dietro l’ombra melodiosa delle note rimaste impresse nella mente e nell’immaginario di chiunque, a tal punto da avere la sensazione che non fosse più la musica a essere nel film, ma il film nella musica. Ennio parte dagli albori della carriera di Morricone, con i primi soldi guadagnati come trombettista nei locali notturni, fonte di estenuante umiliazione, per poi diventare arrangiatore di grandi musicisti alla RCA Italiana e diplomarsi al conservatorio in composizione, con il maestro Petrassi a fargli da pungolo costante e fonte di grande ispirazione, restituendo anche ciò che provò Morricone approdando al cinema con un senso di “muto disonore”, dato che le colonne sonore nei film venivano considerate dai musicisti accademici la morte dell’intellettualismo della musica (sarà, com’è noto, l’incontro folgorante con Sergio Leone a sancire l’inizio di una rivoluzione assoluta e dare il via all’estrema prolificità del Maestro). In un formato sulla carta canonico da documentario biografico Ennio, ripercorrendo nel dettaglio tutta la carriera di Morricone film per film attraverso la diretta voce del protagonista, trova così un’ideale compiutezza che dà alla dimensione uditiva un valore a dir poco fondamentale, come ci ricorda quella famosa fotografia del compositore premio Oscar con il dito alzato invitandoci al silenzio e all’ascolto come possibilità per imparare, conoscere e creare.

Il rischio nel rievocare Morricone e la sua opera è, ovviamente, di argomentare esclusivamente per superlativi. Lasciarsi andare all’entusiasmo per l’autore di temi immortali e perdere di vista il contesto storico e produttivo nel quale il compositore romano ha lavorato e vissuto. Poi, inevitabilmente, c’è l’aneddotica. Tutti, proprio tutti, nel mondo del cinema italiano vantano un episodio del quale Morricone è protagonista diretto o indiretto (lo stesso musicista è stato a volte artefice di storie che poi sono diventate leggendarie). Per questo motivo il lavoro di Giuseppe Tornatore, che possiamo senz’altro annoverare sin da ora nel pantheon del regista siciliano, insieme a Il camorrista, Nuovo Cinema Paradiso, L’ultimo gattopardo: Ritratto di Goffredo Lombardo, La migliore offerta e Una pura formalità, si offre non solo alla stregua di un omaggio doveroso e commosso ma, soprattutto, come il corretto tentativo, completamente riuscito, di contestualizzare l’opera morriconiana nella storia delle vicissitudini industriali, artistiche e creative del suo cinema inquadrandola nel contesto più ampio della storia italiana. Il regista siciliano ha creato con Morricone, a partire da Nuovo Cinema Paradiso, uno straordinario sodalizio che di fatto ha permesso al musicista di esplorare sonorità in totale libertà e sempre in funzione della poetica tornatoriana. Basti fare il solo esempio de La corrispondenza, forse uno degli apici morriconiani degli ultimi anni, per avere conferma dell’enorme libertà e fiducia di cui beneficiava il compositore. Per questo motivo solo Tornatore poteva raccontare Morricone con tanta intimità, affetto e complicità. Una sintonia autentica che ha portato due mondi espressivi a compenetrarsi naturalmente. Che Tornatore stesse lavorando a un documentario dedicato all’amico Ennio era nell’aria da molto tempo e l’attesa e la curiosità sono inevitabilmente montate progressivamente.

Eppure, nulla di quanto ci si poteva legittimamente aspettare da Ennio, può rendere ragione della commozione profonda che il film suscita. Tornatore ripercorre tutta la vita di Morricone: dall’infanzia passando per la formazione con Petrassi, alla collaborazione con Migliacci e Gianni Morandi, lo straordinario racconto di come è venuto alla luce l’arrangiamento de Il barattolo di Gianni Meccia, senza indulgere mai nella tentazione di forzare l’emozione, lasciando semplicemente che emerga dal racconto e, dalla consapevolezza dello spettatore, di quanto la produzione morriconiana sia intimamente intrecciata alla storia della nostra memoria collettiva. Tornatore riesce mirabilmente a rendere il ritratto di un uomo in grado di lavorare a più progetti contemporaneamente, a immergersi totalmente nella scrittura e nella realizzazione, riducendo al massimo il tempo dedicato al riposo senza perdere lucidità e creatività. E progressivamente che il film procede nel racconto, si osserva come Morricone, in fondo, inevitabilmente fuggisse il conforto del successo e la tentazione della ripetizione. Innamorato della musica, tormentato da una spinta feroce a migliorarsi sempre, studioso instancabile, è riuscito nell’impresa di diventare, probabilmente suo malgrado, un punto ineludibile dell’immaginario cinematografico di tutti i tempi; senz’altro il compositore «per musica da film» (virgolette obbligatorie) più amato e riconoscibile di sempre nonostante, e questo è un altro merito del film di Tornatore che lo evidenzia con grande chiarezza, sia anche il più sperimentale, avanzato e complesso.

Le testimonianze Infinite di stima per Morricone che Tornatore monta sul finale del film, sono la prova ulteriore, qualora ce ne fosse ancora bisogno, della risonanza enorme ottenuta dalla sua opera. Premio Oscar, primo Pardo d’onore del Locarno Film Festival nel 1989, una sfilza infinita di capolavori per un l’uomo che Carlo Hintermann definisce «la quintessenza della romanità», del quale una sola composizione, tema o arrangiamento avrebbe fatto la storia o la fortuna di qualsiasi altro musicista. Giuseppe Tornatore con Ennio racconta un uomo, un artista, un romano, un musicista, un compositore quasi irraccontabile nella sua impensabile vastità. E lo ha fatto con il pudore di chi pur avendo avuto un accesso privilegiato, ha scelto il registro del piano e a volte persino del pianissimo, come quando a notte fondea o alle prime luci dell’alba ci si confida con un amico o un amante. Ennio è probabilmente uno dei più acuti ritratti documentari mai realizzati. Dobbiamo essere grati a Tornatore per essere riuscito a far emergere l’uomo Morricone, nella sua complessità, dal magnifico alone mitologico che lo avvolge e che continuerà ad avvolgerlo. Così, quando alla fine scorrono calde e incontenibili le lacrime, non possono non tornare alla memoria i versi di Sergio Leone che chiedevano «ma ’ste musiche belle, ’sti magnifichi soni, ma quando li componi?». Uno stupore, grato, che Giuseppe Tornatore conserva e ci restituisce intatto nel suo incanto misterioso.

Giona Antonio Nazzaro – ilmanifesto.it

 

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