EO

Jerzy Skolimowski

Passando di proprietario in proprietario, l’asinello EO si confronta con le brutture del mondo che lo circonda. Spesso costretto alla sofferenza, troverà anche qualche momento di conforto, esplorando scenari di grande forza simbolica tra la Polonia e l’Italia contemporanea.

Hi-han
Polonia/Italia 2022 (86′)
CANNES 
75°: premio della giuria.
Lux Padova Logo

  EO, film diretto da Jerzy Skolimowski, è la storia di un asino, che liberato da un circo polacco inizia un viaggio attraverso l’Europa fino a giungere in Italia, incontrando e conoscendo le gioie e i dolori dell’umanità più varia. Una versione poetica, tenera, dolceamara e profondamente umanista di un “road movie”, un ritratto delle relazioni sociali e dei cambiamenti culturali in atto nel mondo moderno, che ci aiuta a estendere i confini della nostra empatia.

Skolimowski e la sua cosceneggiatrice Ewa Piaskowska lo raccontano con una libertà che ricorda gli esordi del regista, senza preoccuparsi troppo della logica narrativa e con continui salti di prospettiva. Ne esce un film sorprendente che alterna scelte realistiche ad altre innaturali, squarci poetici ai ribaltamenti della logica (l’acqua che scorre al contrario), dove i colori a volte sembrano impossessarsi della scena per trasmettere quello che forse è una specie di soggettiva asinina. Senza però una logica immediatamente leggibile, ma piuttosto inseguendo una libertà che sorprende, in nome di un cinema che prima di ogni messaggio vuole trasmettere sensazioni ed emozioni.

Paolo Mereghetti – Corriere della Sera

Eo (“ih-oh”) è il nome di un asino che fa coppia con l’acrobata Kasandra in un circo polacco. Con la ragazza, Eo ha un rapporto speciale, una comunicazione intima, che passa attraverso le carezze, il tono della voce, un accoppiamento delle teste e dello spirito. Ma il circo viene smantellato, piegato dai debiti e dalle proteste, e i due vengono separati. Eo inizia così un viaggio che lo porta in paesi e contesti diversi, fino in Italia, sempre secondo ai cavalli, belli e capricciosi, caricato di pesi, per lo più ignorato, a volte pestato, per cieca furia umana, in un’occasione salvato e in un’altra no. Jerzy Skolimowski si mette nella testa dell’asino, animale intelligente e sensibile, costretto allo spettacolo dell’umana violenza e dell’umana insensatezza, e ne visualizza i pensieri, i ricordi, i desideri. Il risultato è un film che vorrebbe essere quasi senza autore, identificarsi con il cinema stesso, con l’atto della visione, che è sempre soggettiva, investita e dettata dalle emozioni. E lo sguardo che Skolimowski attribuisce all’animale non è solo più circoscritto o parzialmente sfocato ai lati: è capace di elevarsi sopra le foreste, di immaginare il corso di un torrente, di materializzare la pericolosità crescente del nostro mondo nell’incubo di un insetto robotico, che tutto (video)registra senza provare empatia.

Marianna Cappi – mymovies.it

 

   Sulla base di Au Hasard Balthazar (1966) di Robert Bresson, unico film a commuoverlo per davvero (secondo le sue parole), Jerzy Skolimowski si è spinto ancora una volta nel territorio della sperimentazione, con un’opera radicale nel voler ragionare sulle potenzialità del linguaggio cinematografico. Dopo le suggesioni teoriche di 11 minutes (2015), splendido esempio di film sulla precarietà del presente, in maniera coerente con quanto fatto per tutta la carriera, il grande regista polacco riflette sulla natura stessa dell’immagine, attribuendo senso profondo a soluzioni visive spiazzanti. Nell’affrontare la parabola del protagonista Eo, Skolimowski abbandona la tensione spirituale che permea il capolavoro di Bresson, allineandosi a un’idea di cinema purissimo in cui il rigore formale accoglie al suo interno un incandescente fluire di magistrali vituosismi stilistici. La triste esistenza dell’asinello è messa in scena con dolente partecipazione, ma Skolimowski riesce a creare un consapevole distacco che argina il devastante senso di smarrimento e sconforto che accompagnava Balthazar. La volontà di creare un’esperienza audiovisiva concettuale senza compromessi, porta lo spettatore a riflettere sul senso stesso di un’operazione che usa gli ambienti in chiave simbolica, ricorrendo anche a viraggi in rosso da Inferno dantesco, ragiona sull’atto del guardare (le soggettive dell’animale), sulla natura primordiale contrapposta al degrado ambientale causato dall’uomo e si interroga sul concetto di bellezza, contrapponendo ad esempio alla spoglia semplicità dell’asino la scultorea prestanza del muscoloso corpo dei cavalli. Eo va incontro al suo tragico destino osservando con occhi dolcissimi, velati di dolore, i freaks che lo circondano, in un crescendo di situazioni a volte quasi criptiche nel ricorrere al grottesco (il segmento con la baronessa interpretata da Isabelle Huppert è forse tra i pochi passaggi poco riusciti). I momenti sbalorditivi non si contano e le invenzioni di regia acquisiscono sempre un precisa funzione espressiva, come nel caso del cammino di Eo nella “selva oscura”. Ottimo il finale che gioca a specchio con la conclusione di Bresson: là c’erano degli agnelli che circondavano il cristologico asino morente; qui invece sono dei bovini ad attorniare il protagonista, pronto così a diventare carne da macello.

longtake.it

…Skolimowsky torna con una pellicola che prende ispirazione da Au Hasard Balthazar, capolavoro assoluto del 1966 firmato da Robert Bresson. Anche in questo caso il protagonista è un asino (di nome Eo) che, passando di proprietario in proprietario, si confronta con le terribili brutture del mondo che ci circonda. Partendo dalla Polonia e arrivando in Italia, il suo viaggio è un lungo e sofferente percorso che darà adito a numerose riflessioni sull’umanità contemporanea. Che Skolimowsky ami provocare è un dato di fatto, così come che sia un grande regista: nella sua carriera ha firmato cult come Il vergine (1967), La ragazza del bagno pubblico (1970) e L’australiano (1978), ma anche negli ultimi anni ha diretto pellicole di grande spessore come Essential Killing (2010), film quest’ultimo con cui EO ha più di un punto in comune. Se nella precedente pellicola seguivamo la fuga di un prigioniero disposto a tutto pur di mantenere la libertà, qui seguiamo un asino che riuscirà anche a scappare imboccando un bosco dalle atmosfere infernali e di dantesca memoria (…) le idee del regista sono numerose e suggestive, così come le sue sperimentazioni visive e sonore che non risultano mai gratuite e sopra le righe. Seguendo il punto di vista dell’asino protagonista anche noi spettatori attraversiamo un mondo in cui proviamo invidia (verso i cavalli che corrono liberi), amore (la ragazza che lo accudisce al circo) e dolore (il pestaggio) in una girandola emotiva di grande originalità e di forte coinvolgimento. Skolimowsky non ha paura di immergere la sua cinepresa tanto nel sangue quanto nel registro grottesco (la sequenza con Isabelle Huppert, in particolare), rischiando molto ma mantenendo un notevole equilibrio che trova un grande compimento nella bella sequenza finale, capace di richiamare in maniera intelligente la conclusione di Bresson. (…) Uno di quei titoli che rimarrà tra i cinefili e tra chi è in cerca di un cinema che sa ancora azzardare senza timore alcuno.

Andrea Chimento – ilsole24ore.com

1 commento su “EO”

  1. credo nell’importanza di immedesimarsi nell’animale, vivere la sua vita vivendo i suoi stati d’animo. guardare con i suoi occhi. capire il male che stiamo facendo ai nostri fratelli animali. svegliarci dal nostro torpore e dalla nostra presunzione di pensarci superiori

    Rispondi

Lascia un commento