Il grande Lebowski

Joel ed Ethan Coen

Jeffrey ‘Drugo’ Lebowski (Jeff Bridges), sfaticato che passa le sue giornate con gli amici, tra White Russian, chiacchiere, marijuana e bowling, viene scambiato per un omonimo ben più facoltoso. Drugo si ritroverà coinvolto in un caso di rapimento, mentre le finali del campionato di bowling incombono e alla sua porta si affacciano degli spietati sicari…

The Big Lebowski 
USA/Gran Bretagna 1998 (117′)

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…A suggello della sezione “sceneggiature originali” (pagine e celluloide) ecco il nostro candidato all’oscar per l’anno prossimo, Il grande Lebowski. Il pregio evidente dell’opera numero sette dei fratelli Coen è la sua apparente superficialità. Lo pseudo-noir in cui l’omonimia del cognome mescola la vita di Jeff “Drugo” Lebowski, sfaccendato e trasandato, con quella di un Lebowski ben più ricco e potente, vive di sprazzi narrativi e stilistici entusiasmanti (e spiazzanti). Drugo procede nella storia come un relitto umano (la nostalgia degli anni ’60 e ’70!), accompagnato da un fanatico veterano del Vietnam e da un altro, apatico, compagno di bowling (che è tutto per i tre amici), ma nel contorto meccanismo del racconto, tra inattendibili rapimenti, falsi riscatti e violenti scontri esitenzial-nichilisti, esce alla fine vincente. Il divertimento del gioco cinematografico è smaccato: all’intarsio effervescente della sceneggiatura corrisponde un estro figurativo ridondante (da antologia i sogni-incubo, con tanto di omaggio al musical di Busby Berkeley) ed è sempre evidente il gusto della citazione.

Ma nulla è fine a se stesso: sul foglietto di appunti telefonici – vedi Intrigo internazionale – non resta impresso ciò che realmente frulla per il cervello di un pornografo? Le ceneri gettate al vento, non si depositano dove più lasciano il segno della precarietà del vivere, dando a Drugo alfine il coraggio di malapostrofare Walter?

La canzone di apertura dei Sons of the Pioners [1] parla dei tumbleweed, i cespugli della prateria che rotolano e, in chiusura, il cowboy-narratore non chiude il paradosso-Lebowsky (in cui il nostro non-eroe ha rotolato – come una palla da bowling – attraverso un’infinità di situazione assurde) rifacendosi alla carovana che va verso l’ovest, al perpetuarsi della dannata commedia umana? Tra il big del titolo e il little del nascituro (Lebowski da parte di madre e di padre!), la figura di Drugo è quella di un great, “grande” di una sua forza interiore che lo rende “mitico” (come la tenacia dei pionieri). Il suo personaggio emerge via via dallo sfondo, volutamente caotico del racconto: sa cosa ribattere al suo miliardario alter-ego (“What makes a man a man, Mr. Lebowski?”) [2] e, anche se di sfuggita (e in uno specchio), sa mettere se stesso – e tutta una generazione, solo apparentemente sconfitta – sulla copertina di Time.

[1] – Una curiosità super-cinefila. Una canzone dei Sons of the Pioners apriva anche Sentieri selvaggi (John Ford 1956 – centra poco, ma rivederlo fa sempre bene!) e il primo verso recitava “What makes a man to wander”. Girovagare, rotolare: l’affinità è evidente e così pure è significativa l’assonanza di quel “What makes a man…” (onore al merito a Bruno Fornara che lo segnala nel numero 374 di Cineforum).

[2] – Anche se per la domanda (“cosa fa di un uomo un uomo”) l’altro ha già pronta la risposta (“Essere pronto a fare ciò che è più giusto”), Drugo non si lascia scappare l’occasione di aggiungere “Sì, quello e un paio di testicoli”

Ezio Leoni pagine e celluloide 1998

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