Upon Entry – L’arrivo

Alejandro Rojas, Juan Sebastián Vasquez

Elena, ballerina catalana, e Diego, urbanista venezuelano, vivono da qualche anno a Barcellona dove si sono conosciuti. Quando, per sfruttare al meglio le opportunità di carriere, decidono di trasferirsi negli Stati Uniti si scontrano all’aeroporto di New York con un’estenuante trafila di controlli e interrogatori da parte di due agenti della polizia di frontiera: ogni certezza è messa in discussione, anche la loro stessa relazione.

Upon Entry
(film edito solo in versione originale sottotitolata)
Spagna 2022 (77′)

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   È una piacevole sorpresa la pluripremiata opera prima di Alejandro Rojas e Juan Sebastián Vásquez, fresca di tre candidature agli Spirit Awards e altrettante ai Premi Goya. Upon Entry. L’arrivo racconta il burrascoso approdo di Elena e Diego negli Stati Uniti d’America. La coppia, lui urbanista venezuelano, lei ballerina catalana di danza moderna, si sta trasferendo da Barcellona perché entrambi credono di potersi costruire un futuro lontano dai rispettivi Paesi d’origine. Avrebbero tutti i documenti in ordine: lui ha con sé pure il vecchio passaporto (non si sa mai), lei ha diviso con grande precisione tutte le certificazioni richieste. La coppia deve fare scalo a New York, avendo come destinazione finale Miami. Ma quando devono passare i controlli all’immigration point, i due vengono bloccati dalla polizia doganale. Entrambi capiscono subito che c’è qualcosa di strano, ma non hanno idea che per loro sta per iniziare una piccola ed estenuante odissea all’interno dell’aeroporto newyorkese.

La claustrofobica opera prima di Alejandro Rojas e Juan Sebastián Vásquez nasce e si esaurisce nel giro di settantasette minuti. Un’ora circa in cui viviamo, passo dopo passo, la disavventura di una coppia che vuole trasferirsi negli Stati Uniti. Un paese descritto indirettamente dai due registi come un mostro che prima inghiotte e poi fa di tutto per espellere i corpi riconosciuti come “estranei” a sé. Le direttrici di questo mostro tentacolare sono identificate dai rappresentanti della legge, campioni assoluti di indifferenza nei confronti di numeri, non certo persone, la cui sorte è appesa ad un filo. Gli interrogatori alla ricerca di una verità assoluta sul perché la coppia abbia deciso di trasferirsi sono messi in scena dai due cineasti attraverso un fitto scambio di primi e primissimi piani. Una rigorosa scansione in atti segmenta il ritmo della pellicola. Durante l’incipit i tempi si dilatano per costruire a poco a poco il senso, prima di attesa, e poi di angoscia di Elena e Diego. Col passare dei minuti, i registi aumentano i giri del motore e alla sospensione iniziale, il film risponde con un ritmo infernale, proprio quando i due protagonisti dovranno controbattere senza soluzione di continuità le pesanti accuse e illazioni mosse loro da parte della polizia. Il senso di impotenza provato dai due protagonisti all’interno del claustrofobico kammerspiel aeroportuale di Rojas e Vásquez è reso visivamente dall’evoluzione dei loro volti le cui espressioni attraversano, nel giro di pochi minuti, la gamma di emozioni dall’angoscia allo spavento, dal terrore allo sconforto.

La dura critica all’isolazionismo americano, terra delle opportunità per alcuni e luogo inaccessibile per altri, si sviluppa attraverso un impianto narrativo che ha il grande pregio di non scadere mai nel didascalico. Le critiche alla società americana, immortalata durante (l’ultima?) amministrazione Trump, si nascondono sempre tra le pieghe del campo-controcampo degli interrogatori, tra le assurde e violente domande inquisitorie degli agenti da cui traspare la totale incapacità americana di comprendere e accettare le differenze culturali e sociali degli altri paesi.

Giorgio Amadori – sentieriselvaggi.it

A fine gennaio la percentuale di elettori americani che vedono l’immigrazione come il problema chiave che la Nazione ha di fronte ha raggiunto il 35%: un balzo di sette punti in un solo mese. E’ la questione che ha alimentato l’ascesa di Donald Trump quasi dieci anni fa, ed è quella che più di ogni altra sta trainando i consensi di oggi. La propaganda repubblicana sta lavorando sullo scontento diffuso tra la vecchia base democratica delle ‘città accoglienti’ verso gli immigrati, come Chicago, e sulla protesta di chi è sotto la soglia di povertà contro servizi e sostegni ai latinos che alle comunità residenti vengono negati. Non vale certo solo per gli Usa, ma è sul ‘muro’, fisicamente e metaforicamente inteso, che si gioca il futuro prossimo della Casa Bianca.
Anche per questo Upon entry-L’arrivo, scritto e diretto dai due registi ispano-venezuelani Alejandro Rojas e Juan Sebastiàn Vasquez è davvero imperdibile. È un thriller minimalista su quello che possiamo attenderci alla frontiera americana e a tutte quelle che condividono certi programmi: una ‘gemma rara’ secondo Variety, e il film più politico degli ultimi mesi. Ha collezionato parecchi premi, nei Festival più attenti al cinema indipendente.

La vicenda è ambientata nel 2019 trumpiano, quando si promuoveva il crowfunding per contribuire a finanziare il muro col Messico: “Meglio prevenire che curare”. Ma l’occhio è al futuro. Si racconta un pugno di ore nella vita di una coppia, la catalana Elena (Bruna Cusì) e il venezuelano Diego (l’argentino Alberto Ammann, protagonista- premio Goya – del film iberico di culto Cella 211, e nel cast della serie Narcos), appena sbarcati all’aeroporto di Newark con un volo da Barcellona. Lei ha un visto regolare, ottenuto con la lotteria della Green Card. Ma i loro passaporti vengono sequestrati e incellofanati. E inizia un percorso di paura, di intimidazione, di sospensione persino dei diritti primari. “Niente è inventato– mi dice Alberto Ammann, che è anche coproduttore del film- si condensa l’esperienza diretta dei due registi, dei loro amici e di altri familiari. È come ritrovarsi in un limbo nebuloso in cui il tempo diventa un’opinione, non puoi telefonare, non hai il tuo bagaglio e gli interrogatori violano ogni limite di privacy: una Inquisizione diretta a scoraggiare il tuo ingresso negli Usa. Ribellarti non puoi: è controproducente”. Su scala minima, ho vissuto anch’io qualcosa di simile, e non ho mai saputo perché: non volevo affatto immigrare. È suspense vera quella del film, un cesello di regia e di montaggio (Vasquez firma anche la fotografia) su una sceneggiatura martellante che non ti permetterà mai più di affrontare quella frontiera senza batticuore. E nel film la violenza psicologica esercitata su Elena e Diego, sulle loro ragioni e sul loro passato, getterà sul loro rapporto un’ombra forse impossibile da cancellare. “E’ una condizione di vulnerabilità e umiliazione anche peggiore, quando sei consapevole dei tuoi diritti”, dice l’attore. Per chi arrivava da determinati paesi nel recente passato è andata così. E in futuro? Benvenuti negli Stati Uniti.

Teresa Marchesi – huffingtonpost.it

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