Tre volti

La diva iraniana Behnaz Jafari riceve un videomessaggio di una giovane ragazza che filma il proprio suicidio, giunta alla disperazione per non poter realizzare il suo sogno di diventare attrice. Pur sospettando che si tratti di una simulazione per attirare l’attenzione su di sé, Behnaz si mette in viaggio col regista Jafar Panahi per recarsi al villaggio della ragazza: incontri, testimonianze… Con una “piccola” idea, Jafar Panahi realizza un grande film sulla condizione della donna nell’Iran di oggi, evidenziando il ricorrente rapporto popolare col sogno del cinema!


Se rokh – Trois Visages
Iran 2018 – 1h 42′

CANNES 2018 – Premio per la sceneggiatura (ex-aequo)

 CANNES – Da quando, nel 2010, una sentenza del tribunale religioso iraniano gli vieta ufficialmente (e per i prossimi 20 anni) di girare film e di uscire dal paese, il regista Jafar Panahi non si è certo dato per vinto, inventandosi una specie di cinema autarchico, fatto in casa, senza mezzi né personale tecnico né attori veri e propri e con se stesso come protagonista. E riuscendo tra l’altro a far giungere i suoi film (clandestinamente? col tacito assenso delle autorità?) ai maggiori festival internazionali che naturalmente guardano a lui con grande simpatia.

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Cold War

Durante la guerra fredda, tra la Polonia staliniana e la Parigi bohémienne degli anni ’50, un musicista in cerca di libertà e una giovane cantante vivono un amore impossibile in un’epoca impossibile. Romantico e melanconico, Col War ha un ritmo vorticoso e avvolgente: perfetti regia e montaggio, straordinaria la colonna sonora.


Zimna wojna
Polonia 2018 – 1h 25′

CANNES 2018 – Premio alla regia

 CANNES – Radicato in Inghilterra fin da giovanissimo, il polacco Pawel Pawlikowski torna a girare per la seconda volta nella sua terra natale, dopo il successo di Ida, premio Oscar 2016 per il miglior film straniero. Realizzato nello stesso nitido, patinato bianco e nero e nello stesso evocativo formato quadrato 4:3, Cold War, premiato “solo” per la miglior regia è di nuovo un trionfo in tutti sensi..

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Lazzaro felice

L’apologo dolce amaro del giovane Lazzaro, anima buona e pura che canta alla luna e parla coi lupi. Dapprima in una enclave fuori dal mondo di contadini coltivatori di tabacco sfruttati da una spietata megera, la marchesa Alfonsina Della Luna, in una Italia centrale dei primi anni 80 (ma sembra di essere un secolo prima, tipo Albero degli zoccoli di Olmi!). Poi in una comunità di diseredati dei giorni nostri, da qualche parte tra Milano e Torino. Ovunque lo sguardo sereno e complice di Alice Rohrwacher, da sempre dalla parte degli ultimi. Film scombinato, bizzarro, irrisolto, ma affascinante, da vedere!


Italia 2018 – 2h 10′

CANNES 2018 – Premio per la sceneggiatura (ex-aequo)

 CANNES – Beniamina del festival, che la aveva tenuta a battesimo nel 2009 con Corpo celeste e poi premiata (un po’ generosamente forse) nel 2014 con Le meraviglie, Alice Rohrwacher torna quest’anno con Lazzaro felice confermando le sue doti autoriali ma anche mancanze e difetti, dovuti quasi ad un eccesso di ispirazione.

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Dogman

In una periferia sospesa tra metropoli e natura selvaggia, dove l’unica legge sembra essere quella del più forte, Marcello è un uomo piccolo e mite che divide le sue giornate tra il lavoro nel suo modesto salone di toelettatura per cani, l’amore per la figlia Sofia, e un ambiguo rapporto di sudditanza con Simoncino, un ex pugile che terrorizza l’intero quartiere. Dopo l’ennesima sopraffazione, deciso a riaffermare la propria dignità, marcello immaginerà una vendetta dall’esito inaspettato. Garrone è capace di raccontare un’Italia marginale disintossicando la narrazione dalla volgarità standardizzata dei media e restituendo dignità ferita ai suoi personaggi.


Francia/Italia 2018 – 1h 40′

CANNES 2017 – Premio per l’Interpretazione maschile (Marcello Fonte)

 CANNES – È un fatto di cronaca atroce quello a cui si è ispirato Garrone per questo film, tanto atroce che il suo ricordo persiste nella memoria di molti di noi, ma la parola che ricorre di più nel film è “amore”.

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I segreti di Wind River

Riserva indiana dello Wyoming. Cory, un cacciatore solitario, ritrova durante un’escursione tra le nevi il corpo senza vita di una giovane nativa americana. Mosso anche da un trauma del suo passato decide di unirsi a Jane, giovane agente FBI in una pericolosa caccia all’assassino, verso una sconvolgente verità. L’armonia della natura e l’assurda malvagità del genere umano… Un thriller neo-western in cui emerge, da protagonista, il bianco silenzio del paesaggio.

Wind River
USA 2017 – 1h 51′

CANNES 2017 – Un Certain Regard – miglior regia

 TORINO – Il bianco della neve, il rosso del sangue fotografano le contrapposizioni essenziali de I segreti di Wind River; molto più complesse le dinamiche narrative e le derive psicologiche che accompagnano i personaggi. A partire dal protagonista Cory (Jeremy Runner), cacciatore di predatori nella selvaggia riserva indiana dello Wyoming, con alle spalle un fardello d’angoscia di cui si verrà a conoscenza nel corso del tempo filmico: una figlia adolescente violentata e uccisa proprio in occasione dell’unica vacanza di coppia alla quale aveva “trascinato” la moglie…

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Most Beautiful Island

Luciana, una giovane donna immigrata a New York, si sforza di sbarcare il lunario mentre tenta di sfuggire al proprio passato. Come ogni giorno, affronta una serie di problematiche e imprevisti quando, prima che la sua giornata sia finita, si ritrova inavvertitamente protagonista di un crudele gioco in cui vengono messe a rischio delle vite per l’intrattenimento perverso di pochi privilegiati.

Spagna/USA 2017 – 1h 20′

 TORINO – Se c’è una soddisfazione che ancora sono in grado di fornire i festival del cinema, è di certo la sorpresa di entrare in una sala ed aprirsi alla visione di un’opera prima, in questo caso di una giovane attrice spagnola, la quale, con pochi mezzi e pochi soldi ma una solida idea, decide di portare sullo schermo una vicenda che l’ha direttamente coinvolta, pur con le debite distanze, nel momento in cui ha deciso di trasferirsi da Madrid e tentare la fortuna a New York.

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Tokyo Vampire Hotel

Manami si prepara a celebrare il suo ventiduesimo compleanno con alcuni amici, ma viene quasi uccisa nella furia omicida scatenata da un gruppo di vampiri. I suoi problemi non finiscono qui: due vampiri, K, dal clan Dracula, e Yamada, dal clan Corvin, sono sulle sue tracce. Yamada finisce per rinchiudere Manami in un albergo dove gli esseri umani sono condannati a donare sangue per l’eternità. Prima serie televisiva diretta da Sion Sono e prodotta da Amazon.

Japan 2017 – 2h 22′

 TORINO – Dopo la vetta raggiunta lo scorso anno con Antiporno, il genio di Sion Sono ha deciso di mettersi in gioco con il mezzo televisivo, La scelta non sorprende, vista la frenesia produttiva del regista e il suo continuo tentativo di prendere in esame generi, formati, consuetudini di visione per sgretolarne pezzo per pezzo il carattere pedante, consolidato e svuotato di personalità e resistenza di cui sono portatori.

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Figlia mia

Italia/Svizzera/Germania 2018 – 1h 40′

 BERLINO – Proseguendo nella sua ricerca sui vari aspetti della femminilità, la regista italo-albanese Laura Bispuri porta alla Berlinale Figlia mia, unico italiano in concorso. C’era già stata due anni fa con Vergine giurata. Là c’era una donna drammaticamente scissa tra due culture, quella ancestrale dell’Albania e quella italiana di oggi, nonché tra i due aspetti mascolino e femminile della sua personalità; qui lo scontro è tra due diversi modi di essere donna e di conseguenza madre.

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My Brother’s Name Is Robert and He Is an Idiot

Francia/Germania/Svizzera 2018 – 2h 54′

 BERLINO – Aveva fatto parlare di sé con Il grande silenzio (2005), memorabile documentario su una comunità di monaci votati, appunto, al silenzio, poi  aveva ricevuto il Premio speciale della Giuria per La moglie del poliziotto, estenuante dramma sull’incomprensione e sulla violenza coniugale didatticamente diviso in 57 capitoli, ostico alla visione completa e  coraggiosamente distribuito in Italia (Satine Film) con un esiguo riscontro di pubblico. Passati quattro anni (è questo a quanto pare il tempo minimo necessario a Philip Groning per completare una sua opera, di cui è sempre, oltre che regista, autore, fotografo e  e post-produttore), rieccolo a Berlino con questo My Brother’s Name Is Robert and He Is an Idiot. E la musica non cambia.

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Don’t Worry

La storia vera del celebre fumettista John Callahan ritrovatosi in sedia a rotelle dopo un incidente automobilistico all’età di 21 anni. Ma ciò che poteva segnare la fine della sua vita, si rivela l’inizio di un nuovo meraviglioso percorso, in cui scopre di avere un dono nel disegnare vignette capaci di provocare risate o reazioni sdegnate. Van Sant cerca di coniugare le regole del film biografico con una costruzione narrativa più complessa, invitando lo spettatore e superare più di un pregiudizio.


Don’t Worry, He Won’t Get Far on Foot

USA 2018 – 1h 53′

 BERLINO – Don’t Worry, He Won’t Get Far on Foot, il film con cui Gus Van Sant torna ad un grande festival internazionale, dopo il tonfo di The Sea  of Trees (Cannes 2016), è un tributo agiografico del regista di Portland al disegnatore satirico John Callaghan, suo concittadino. Nel raccontarne la parabola esistenziale, dalla abiezione alcolica e relazionale che in seguito ad un grave incidente lo aveva ridotto a soli 21 anni su una sedia a rotelle su su fino alla sobrietà, alla scoperta della vocazione artistica e alla totale riabilitazione, il nostro riprende un’idea di Robin Williams, che gliela aveva proposta e di cui avrebbe voluto essere il protagonista (in effetti, a parte la straordinaria interpretazione di Joaquin Phoenix, non è difficile immaginarlo nel ruolo!).

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