Italia 2023 (50′)
TORINO – Il film di Martone sul grande fotografo napoletano Mimmo Jodice è stato presentato al TFF in concomitanza con una bella mostra alle Gallerie d’Italia di Torino, Senza tempo, che espone alcune delle opere più significative di questo artista, ripercorrendone la carriera..
All’interno della filmografia del regista napoletano questo film aggiunge un capitolo a quella sorta di antologia che Martone va componendo, dedicata a ritratti e riflessioni su uomini di cultura, d’arte e spettacolo partenopei, iniziata con Lucio Amelio/Terraemotus, 1993, (presentato anch’esso al TFF) e con Antonio Mastronunzio, pittore sannita, 1994, per arrivare a Laggiù qualcuno mi ama, 2023, incentrato sulla figura di Troisi.
Un ritratto in movimento – Omaggio a Mimmo Jodice è sviluppato su tre piani che si sovrappongono e si intrecciano nei 50′ del film. Il primo è quello delle testimonianze di persone di varie generazioni che sono state e sono vicine al fotografo, da Stefano Boeri a Lia Rumma, a Francesco Vezzoli alla moglie Angela; poi ci sono gli interventi diretti di Mimmo Jodice con le preziose riprese nell’archivio e il racconto di come nascono in camera oscura le sue foto, i trucchi, le sperimentazioni. Una vera e propria lezione di fotografia. Un terzo livello è dato dalla valorizzazione, su grande schermo, dello stesso materiale fotografico. «Ho fatto un film», spiega Martone, «in cui protagoniste sono le fotografie, è un viaggio all’interno delle sue opere, non ho voluto inserire materiale documentario sulla Napoli degli anni ’60 e ’70 ma ho preferito lasciar parlare le sue immagini».
«A me piace raccontare gli artisti. A differenza di una volta oggi viviamo sommersi dalle immagini, ci sovrastano, si rischia di perdersi. È necessario ragionare sul loro senso, sul loro valore, sul gesto che c’è dietro. Sul rapporto con lo sguardo. Osservare un gigante come Mimmo Jodice ormai diventa importante non solo da un punto di vista estetico, ma filosofico. A me ha fatto ritrovare il gusto di respirare un’immagine.» ha dichiarato il regista in conferenza stampa. È nell’ambiente stimolante della Napoli che negli anni sessanta ruotava attorno alla Galleria di Lucio Amelio, dove confluivano intellettuali e artisti anche di fama internazionale, come Beuys, Rauschenberg, Kounellis, LeWitt, che Jodice, come pure Martone, iniziò il suo itinerario personale e prese coscienza di cosa fosse per lui la fotografia. «Per me il lavoro si divide in due fasi, il tempo delle riprese (che non sono mai improvvisate, ma frutto di lunghe attese e riflessioni, nota) e il tempo della stampa. In camera oscura lavoro sull’intensità della luce… la luce accarezza il modellato della forma e allora c’è il risultato… Le sperimentazioni mi hanno portato a capire fino a che punto si potessero forzare i limiti del linguaggio fotografico, stravolgere le regole convenzionali per arrivare a una dimensione creativa, libera e autonoma.»
Il processo in camera oscura è parte fondamentale del suo lavoro, dell’atteggiamento empirico che lo contraddistingue. Quando ne parla i suoi occhi azzurri intensi brillano carichi di entusiasmo. Afferma che rifarebbe tutto quello che ha fatto durante la sua lunga vita, iniziata con un’infanzia difficile e povera nel Rione Sanità. Le parole dell’artista ottantanovenne, assieme a quelle dei personaggi a cui Martone ha dato voce, gettano una luce particolare sulle fotografie esposte nella Mostra, dove si può ripercorrere l’evoluzione della sua arte, dalle opere più sperimentali (ben prima di possedere una macchina fotografica operava in camera oscura con la sola pellicola sensibile oppure interveniva sull’immagine stampata strappandola, tagliandola, “manipolandola”), alla politica sociale (famosi i suoi lavori negli ospedali, nelle scuole, nelle fabbriche, nelle carceri), alla natura “umanizzata”, all’architettura urbana (dove le grandi capitali mondiali appaiono svuotate di ogni forma di vita umana), al mare Mediterraneo, in un confronto costante con la sua città, sino a una personalissima rielaborazione degli oggetti e dei reperti dell’antichità classica reinventati attraverso l’illuminazione.
80 fotografie, realizzate tra il 1964 e il 2011, che raccontano il percorso di un maestro che è riuscito con la sua ricerca, ma anche con le sue profonde riflessioni a escludere ogni dubbio sulla valenza artistica del mezzo fotografico, come viene evidenziato dal bel documentario di Martone, che ne illustra il cammino straordinario alla scoperta del linguaggio, della cultura, della storia. Un cammino fortemente segnato dal mare, dal Mediterraneo, di fronte al quale si apre il film.
Cristina Menegolli – MCmagazine 87