Una donna vive sola con l’unico figlio, un giovane timido e asociale che trascorre il tempo chiuso in casa. Quando nella loro città viene commesso un omicidio, la polizia arresta il figlio della donna solamente perché è privo di alibi. L’avvocato della difesa non è in grado di provarne l’innocenza così toccherà alla madre indagare per contro proprio per scagionare l’amato figlio, scoprendo, tra le sue abituali frequentazioni, un mondo nascosto di intrighi e violenze… Un film che scardina convenzioni e regole per reinventare la realtà nello sguardo e nelle azioni di una donna che soffre si dispera, immersa cuore profondo (e selvaggio) della società coreana. Un ritratto di madre straziante, commosso e ambiguo.
Shi
Corea del Sud 2010 (139′)
CANNES: premio per la miglior sceneggiatura
– A dispetto dei meritati elogi tributati a Parasite, il miglior film coreano visto in sala nel 2019 è stato piuttosto Burning – L’amore brucia, di Lee Chang-dong, che rilegge un tiepido racconto breve del giapponese Haruki Murakami allentandone gli involontari schematismi e moltiplicandone le ambiguità e le tracce senza seguito – tra le molte, la più suggestiva è certo la presunta sparizione del micio della protagonista, che si lega, nella memoria di ogni appassionato, alla fuga del felino di Philip Marlow ne Il lungo addio (Robert Altman, 1973)