Mantagheie Bohrani
Iran/Germania (99′)
LOCARNO 76: Pardo d’oro
LOCARNO – Sembrava non potessero esserci dubbi su chi sarebbe stato il vincitore di questo settantaseiesimo Festival di Locarno: il regista rumeno Radu Jude, con il suo torrenziale (due ore e 45 minuti), sfacciato, geniale Non aspettatevi troppo dalla fine del mondo, spietato ritratto della società rumena di oggi e dell’era Ceaucescu. Critica e pubblico tutti d’accordo, ben tre proiezioni supplementari concesse a furor di popolo! Ed invece in dirittura d’arrivo la giuria presieduta da Lambert Wilson decide di premiare con il Pardo d’oro Mantagheie Bohrani (Critical Zone) del semisconosciuto regista iraniano Ali Ahmadzadeh.
Intendiamoci, niente di scandaloso, il film ha i suoi pregi, ma le perplessità, sia a livello di contenuti che di forma, sono molte, Al suo terzo lungometraggio dopo due passaggi abbastanza incolori ai Festival di Tallin e Berlino sezione Focus con Kamy’ Party e Atomic Heart (un po’ nella scia di Kiarostami e Farhadi per intenderci), arriva a Locarno con questo ritratto inedito e spiazzante di una Teheran notturna difficile da immaginare. Amir, Il protagonista, è uno spacciatore molto professional di ogni tipo di droga; abbandonato dalla moglie (si accenna ad una sua forma di impotenza), vive solo con l’unica compagnia dell’adorato cane bulldog. Lo vediamo la sera preparare le dosi di svariati tipi di stupefacenti (compresi dei dolcetti a base di oppio che lui stesso cucina nel forno di casa). Poi esce per il suo quotidiano giro degli affezionati clienti. Ci sono i personaggi più disparati; le infermiere di una casa di riposo che devono tenere buoni i vecchietti, ogni tipo di junkie, una quantità di prostitute e trans che si mettono ordinatamente in fila per ricevere la dose. Alla fine addirittura una bella signora borghese che gli chiede, neanche fosse un medico, di aiutarla a gestire le follie del figlio ventenne drogato all’ultimo stadio. Manca da parte del regista qualsiasi tipo di condanna morale; anzi Amir è visto con empatia, come una figura carismatica, punto di riferimento e sostegno, quasi una guida spirituale di un popolo di disgraziati, che nell’Iran oppressivo di oggi e nell’impossibilità di ribellarsi trova rifugio nella droga. Non c’è una vera e propria trama: il film è solo un susseguirsi di scene tutte uguali, tenute insieme dal volto messianico di Amir alla guida della sua automobile e ubbidiente alle indicazioni del suo GPS (impossibile non pensare al Locke del 2013, ma lì eravamo su un altro pianeta!). E naturalmente a Taxi Teheran del connazionale Panahi. Si distacca l‘episodio in cui il Nostro va a ricevere all’aeroporto una hostess della compagnia di bandiera proveniente da Amsterdam con la quale in un vicolo di campagna scambia oppio e derivati con droghe sintetiche di produzione europea. Segue una scena piuttosto incongrua di masturbazione selvaggia di lei sul sedile posteriore, peraltro non ripresa. Qui finalmente compare la polizia, e si scatena la lunga scena di inseguimento per le strade della città deserta, con lei che, mezza fuori dal finestrino, grida invasata “Libertà, Libertà“. E anche qui è forte la somiglianza con il secondo episodio de Il male non esiste dell’altro iraniano Rasoulof, coi ragazzi fuggiti dal carcere che intonavano Bella ciao.
Girato sembra prima delle rivolte scoppiate in seguito alla morte della ragazza Masha Amini, Critical zone è senz’altro un film impattante, nella fotografia, nella colonna sonora, nei personaggi ben delineati, ma i dubbi rimangono. Innanzitutto, come si stato possibile girare un film del genere nell’Iran odierno. Certo il regista dichiara di essere ricorso allo stratagemma (già citato anche da Panahi) di fingere di girare tanti diversi cortometraggi, sui quali sembra la sorveglianza sia molto minore. Oppure nella scena dell’aeroporto avrebbe finto di essere un marito intento a riprendere l’arrivo della moglie. Ma ci si domanda: sono così tonti i ”guardiani della morale”? Quelli stessi capaci di incarcerare, bastonare, uccidere per un velo mal posto? O forse sono corrompibili? E ancora: davvero ci sono decine di prostitute in giro per la città di notte? Oppure il tutto è solo una fantasia, una metafora? Resta il fatto che Ahmadzadeh, a cui è stato ritirato il passaporto, non ha potuto essere a Locarno (il Pardo è stato ritirato dal produttore, iraniano trapiantato in Germania). E neppure ci sono gli attori, tutti non professionisti e i cui nomi non figurano nei crediti finali per timore di ritorsioni.
Giovanni Martini – MCmagazine 84