novembre 2019

periodico di cinema, cultura e altro... ©
 

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Reg.1757 (PD 20/08/01)

 
 
 
FESTIVAL DI LOCARNO

7 - 17 agosto 2019

La nuova direttrice, Lily Hinstin (succeduta allo italiano Carlo Chatrian, promosso a Berlino) non sembra essersi discostata molto dalla gestione precedente. Stessa divisione del festival in due parti distinte, stessa attenzione alle cinematografie emergenti, sempre grande risalto agli incontri cogli autori con spesso un evidente predominio della forma filmica su quella narrativa e sulla sostanza in genere.
Le due parti in cui l festival è (nettamente) diviso? La Piazza Grande, allestita all’aperto con una capacità di ottomila persone, è il luogo delle grandi e medie produzioni, dei film mainstream, dei grandi attori e dei grandi registi, in genere prossimi a essere distribuiti in tutti i paesi europei (quest’anno c’è stata addirittura una anteprima di Once Upon a Time in Hollywood di Tarantino). Mentre L’altra Locarno è quella del Teatro Kursaal, riservato alla stampa e agli accrediti, dove passano i film del concorso per il Pardo d’oro e i cadetti di Cineasti del presente. Pochi e in genere disagevoli i passaggi da una rassegna e l’altra...
Ad aprire le proiezioni di Piazza Grande, e quindi il festival, c’era quest’anno proprio un film italiano, il dramma familiare, ambientato negli anni 80, Magari, interpretato da Alba Rohrwacher e Riccardo Scamarcio per la regia di Ginevra Elkann, alla sua opera prima dopo una già lunga carriera di produttrice e distributrice (Good Films). Ne hanno parlato tutti un gran bene...
Nel concorso principale, come unicum “nostrano”, era presente Maternal >>, italiano in fondo solo a metà: la regista, Maura Delpero (di Bolzano), lo ha girato in Argentina, dove vive e lavora da anni, con (bravissimi) attori del luogo e parlato in castigliano, mentre sul piano internazionale c’è da segnalare una “sottile linea rossa”, geografica (dalle coste dell’Africa allo estremo nord della penisola iberica) e linguistica (l’idioma portoghese) che lega tutto o quasi il buon cinema visto in questo settantaduesima edizione.
Ci riferiamo, in primis a Vitalina Varela >> del portoghese Pedro Costa (Pardo d'oro), e ad altri due titoli O fim do mondo >>, di Basil da Cunha (nato in Svizzera, ma da genitori portoghesi) e Longa noite >> di Eloy Enciso, ambientato nella Galizia spagnola.
Da segnalare un'altra (unica e trascurabile) presenza italiana, nella sezione minore, L’apprendistato di Davide Maldi, sui tormenti interiori del giovane Luca, allievo di un istituto alberghiero.
Per quanto riguarda i Cineasti del presente, sfuggitomi, as usually, il film vincitore Baamun nafi (Nafi’s father) del senegalese Mamadou Dia, non ho mancato comunque La paloma y el lobo >> (La colomba e il lupo) opera prima (e sua tesi di laurea alla Scuola nazionale del cinema!) del messicano Carlos Lenin, forse in assoluto il film più bello di quest’anno in questa rassegna che non ha avuto però neanche un accenno da parte della giuria ufficiale.
E proprio per quanto riguarda il Palmares, a parte la riserva, non certo qualitativa, sul film vincitore del Pardo (di un genere in fondo assolutamente inaccessibile ad un pubblico "normale", al di fuori dei circuiti d’avanguardia) non mancano altre scelte, direi molto opinabili. Perché ad esempio, il premio come miglior attrice protagonista a Vitalina Varela, che in fin dei conti interpreta solo e semplicemente se stessa? Altrettanto inspiegabile il premio per la miglior regia a Les enfants d’Isadora di Denis Manivel, il bravo giovane regista francese autore di piccoli gioielli, l’ultimo dei quali Takara - La notte che ho nuotato si è rivelato in Italia un piccolo successo, grazie a Tycoon Distribution. Qui però, nel rievocare varie rappresentazioni coreografiche della famosa danzatrice, ispirate alla tragica morte dei suoi due bambini, Manivel si perde in lungaggini estenuanti e in un finale strappalacrime, che paragona tra i due bambini annegati nella Senna ad un'anziana signora che piange il nipote scomparso nel Mediterraneo...

Giovanni Martini

 
 
MANTOVA - INCONTRI DEL CINEMA D'ESSAI

30 settembre - 3 ottobre

  Sempre ricco il programma di degli Incontri FICE a Mantova. E sempre ad appannaggio delle più importanti case di distribuzione: con titoli come Light of My Life (Notorius), Belle Epoque (I Wonder, Joker (Warner), The Farwell - Una bugia buona (BiM), Dio è donna e si chiama Petrunya (Teodora), J'accuse - L'ufficiale e la spia (01), Grazie a Dio (Academy Two), Les miserabiles (Lucky Red), Sole (Officine UBU), Babyreeth (Movies Inspired), Gloria Mundi (Parthenos) il programma è bello che fatto e resta poco spazio per i veri "piccoli" indipendenti  selezionati per le proiezioni rimaste. Tra quelli comunque "entrati" c'erano Cineclub Internazionale (Il segreto della miniera), Mariposa (ben 2 film: Nancy e Manta Ray), No.Mad Entertainmemt (Rebelles), Lab 80 (The Bra), M2 (Un fils),   tra quelli esclusi Exit Media, Tycoon Distribution i cui titoli (Yuli - Danza e libertà, Miserere) avrebbero meritato di essere scoperti dagli eserciti mantovani ben più di annunciati blockbuster d'essai (reduci dai tronfi veneziani) come J'accuse e Joker.
Ma le giornate della FICE non sono solo proiezioni, sono anche incontri tra esercenti e distributori, tra esercenti ed esercenti: in tal senso hanno avuto un peso non da poco i due convegni, il primo dedicato ai numeri del cinema di qualità̀ tra maggio e agosto. (l'iniziativa ANICA di Moviement sembra aver cominciato a smuovere la stagnazione del cinema estivo) il secondo incentrato sulle discipline che regolano il cinema d’autore a livello europeo e al quale ha doto un fondamentale contributo l'intervento-informativo del direttore generale cinema del MIBAC Mario Turetta. Al solito la chiusura è stata affidata alla conduzione di Maurizio Di Rienzo, per la tradizionale consegna dei Premi FICE.

(e.l.)

 
 
FESTIVAL DI VENEZIA

28 agosto - 7 settembre 2018

Leone d’Oro: il miglior film

Leone d’Argento: Gran Premio della Giuria

Leone d’Argento: migliore regia

Coppa Volpi: migliore interprete femminile

Coppa Volpi: migliore interprete maschile

Premio per la Migliore Sceneggiatura

Premio Speciale della Giuria

Premio M. Mastroianni - attore emergente

Premio ORIZZONTI - miglior film

Premio ORIZZONTI - miglior regia

JOKER di Todd Phillips

J’ACCUSE di Roman Polanski

ABOUT ENDLESSNESS di Roy Andersson

Ariane Ascaride nel film GLORIA MUNDI

Luca Marinelli nel film MARTIN EDEN

Yonfan per il film No.7 CHERRY LANE

LA MAFIA NON È PIÙ QUELLA DI UNA VOLTA
di Franco Maresco

Toby Wallace nel film BABYTEETH

ATLANTIS di Valentyn Vasyanovych

Théo Court per il film BLANCO EN BLANCO

 Non sembrava avere molto margine la giuria, quest'anno, nell'assegnazione dei premi principali. J'accuse e Joker brillavano di luce propria sopra a tutti, ma se la maestosità cinefila del lavoro di Polanski apriva lo sguardo su un racconto storico di assoluta pregnanza, il film di Todd Phillips aveva il suo impatto sconvolgente grazie sia ad una regia adrenalinica, sia alla straordinaria performance di Joaquin Phoenix. E sembrava ovvio, in primis, il riconoscimento a lui come attore e, consequenzialmente, l'assegnazione del Leone d'oro a J'accuse. È andata come è andata, niente di scandaloso, ma è tutto il concatenarsi degli altri premi che in fondo ha lasciato perplessi. La Coppa Volpi a Luca Marinelli (Martin Eden) è sembrata un tappabuchi per il posto lasciato libero da Phoenix, quella a Ariane Ascaride (Gloria Mundi) una segnalazione incoerente per un film corale non troppo riuscito. Così non ha trovato nessun riconoscimento un film-evento come Ema: poteva essre l'interpretazione femminile (vedi sopra), poteva essere il Premio speciale della giuria (non sfigura certo l'assegnazione a Franco Maresco per La mafia non è più quella di una volta), poteva essere il Leone d'argento per la regia... Qui l'assurdità è evidente: qualcuno non poteva informare i membri della giuria che Roy Andersson (About Endlessness) aveva già avuto un Leone d'oro nel 2014 (Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza) e che questo non ne era che una tiepida copia? Forse qualche "infiltrato" esperto-critico con le mani in pasta nel cinema del presente sarebbe una presenza opportuna nella giuria di una Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica!

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Cristina Menegolli

 
Licia Miolo

   
Valentina Torresan

 
Alessandro Tognolo

 

IMPROVISATIONS ON THE MEMORY OF CINEMA / Live performance di TSAI MING-LIANG con proiezione del film Bu san

L'eco dei passi zoppicanti della cassiera del vecchio cinema ormai in chiusura, misuratori del tempo, non tanto del film, quanto dello spettatore, ha risuonato, 16 anni dopo, al teatro alle Tese dell'Arsenale di Venezia, trasmettendo ai presenti l'immutata suggestione ipnotica indotta dalla magia dell'incontro casuale con i fantasmi del passato, dallo stupore estatico di un bambino di fronte alle immagini, dalla malinconia di un amore forse mai dichiarato, che fanno di Bu san (Goodbye Dragon Inn) uno dei più bei film di Tsai Ming-liang.
In occasione della proiezione della versione restaurata dell'opera, presentata a Venezia nel 2003, il direttore della Biennale Arte Ralph Rugoff ha invitato il grande maestro taiwanese (Leone d'Oro nel 1994 con Vive l'Amour e autore tra l'altro di The Hole, Il gusto dell'anguria, I Don't Sleep Alone, Stray Dogs) a dialogare con gli spettatori dopo la visione del film .
Si sa che, pur essendo il cinema un'arte contemporanea, la tendenza è quella di tenere separati i due campi per una specie di diffidenza reciproca, conseguita alla direzione commerciale intrapresa dal cinematografo. Non sono certo mancati gli sconfinamenti: alla stessa Mostra del Cinema di Venezia sono stati invitati a presentare i loro film negli anni passati famosi artisti come Pipilotti Rist, Piotr Uklanski, Shirin Neshat e in questa edizione il giovane artista americano Grear Patterson (con Giants Being Lonely), più raro, non solo per questioni logistiche, è che un lungometraggio trovi posto in uno spazio espositivo dedicato all'arte.
L'apertura di Rugoff nei confronti del cinema, già evidenziata dai numerosi video di qualità presenti in questa edizione e dall'aver invitato due registi come Sokurov e Apichatpong Weerasethakul ad essere presenti con le loro opere (di cui abbiamo parlato nel numero precedente), ha dato il via a questa iniziativa del tutto nuova per i frequentatori del Festival, che per una volta hanno abbandonato le solite sale per spostarsi nel magnifico scenario dell'Arsenale.

A parte la magia rimasta intatta del bellissimo film di Tsai, malinconica e ipnotica ricostruzione dell'ultima proiezione del film Dragon Inn di King Hu in un vecchio cinema, che sta per chiudere (recensione su MCmagazine 8), altrettanto affascinante e nel contempo sorprendente si è rivelata le performance, soprattutto per chi in questi anni ha seguito con passione le opere di questo autore. Se, come regista, Tsai Ming-liang ci ha abituati ad apprezzare le lunghe pause e i silenzi dei suoi film, in quel contesto, sorprendentemente, per ben due ore, muovendosi sopra un grande foglio bianco con alcuni suoi disegni, al centro di un anfiteatro formato dagli spettatori, egli ha parlato ininterrottamente di sé, della sua vita, del suo rapporto col cinema e con l'arte.
Prendendo spunto dal fatto che alcuni visitatori capitati casualmente in sala, una volta saputo che si proiettava un film, sono rapidamente fuggiti, ha sottolineato la difficoltà che ha il Cinema ad essere accettato come Arte, nonostante egli stesso si collochi a metà strada, in quanto i suoi film, che hanno sempre trovato problemi nella distribuzione, sono invece stati ospitati da importanti musei e gallerie d'arte, nel 2009 ad esempio egli ha diretto Lian, il primo lungometraggio a essere incluso dal Museo del Louvre nel progetto Le Louvre s'offre aux cinéastes, diventato punto di riferimento per tutti i film girati successivamente all'interno di musei.
Dragon Inn, la pellicola che viene proiettata all'interno del cinema Fuhe, un vero cinema di Taiwan, in Bu San, appartiene a quella tipologia di lungometraggi prodotti a Hong Kong, che circolavano in Cina negli anni sessanta, film di avventura, che prevedevano mirabolanti combattimenti, capaci di sfidare la forza di gravità, e che hanno dato il via al genere wuxia. Su questi Tsai ha costruito il suo immaginario, fin da quando, trasferitosi da piccolo dalla Malesia a Taiwan, veniva portato quasi ogni giorno al cinema dal nonno. Contrariamente al Giappone infatti, in Cina il cinema europeo di Truffaut, Fellini, Bergman... è arrivato molto tardi.
È quindi proprio a partire da quel tipo di cinema, a cui tuttora si sente molto legato, e a cui ha reso un accorato omaggio in Bu San, che egli ha elaborato la sua poetica, realizzando i primi film. Film che ovviamente nessuno andava a vedere, tanto che lui stesso con i suoi collaboratori era costretto a vendere i biglietti per le strade. Racconti di vita, riflessioni sul cinema in generale e sul suo in particolare, sui suoi attori, sull'arte, sulla musica, sui suoni hanno tenuto inchiodati per più di due ore gli spettatori affascinati da questo artista, così criptico nelle sue opere, che si è invece dimostrato desideroso di raccontarsi al suo pubblico, a cui con grande generosità, umanità e simpatia ha fatto un dono pari al “dolce della fortuna” a forma di pesce che la dolce bigliettaia di Bu San prepara per il bel proiezionista.

Cristina Menegolli

 
 
  ALTRE VISIONI

serie TV   

 

Novine - Dalibor Matanic # Croazia
stagione 1
- 2016 (12 episodi)
stagione 2 - 2018 (11 episodi)
stagione 3 trailer              

Curiosando tra le offerte della piattaforma Netflix, ci si può imbattere in una serie, poco pubblicizzata, ma che riserva delle sorprese interessanti. Innanzitutto la provenienza: la Croazia, e quindi tutte le problematiche legate ad un paese relativamente nuovo nel panorama europeo, inoltre un linguaggio non piattamente da serial, ma attento al rapporto tra i contenuti e le scelte stilistiche.
Novine (che in croato è l'equivalente de “Il Giornale”) si svolge tutto all'interno della redazione di questo quotidiano indipendente, che sta però per essere venduto ad uno dei tanti pescecani che hanno trovato modo di arricchirsi dopo la caduta del regime socialista. Le dinamiche professionali e affettive che si innestano tra i vari redattori, vecchi e giovani, portatori di una diversa concezione del giornalismo, si intrecciano con ciò che le varie inchieste, da loro condotte, ci dicono di un mondo in cui corruzione e politica vanno di pari passo. Le inquadrature spesso sghembe e i punti di vista decentrati, i raccordi di montaggio spiazzanti adottati dal regista sottolineano sapientemente questi rapporti.


Anche l'ambientazione è anomala, essendo teatro di questo serial legal-thriller, Rijeka (l'antica Fiume), città di mare, che appartiene più al nostro immaginario vacanziero e che invece la bella fotografia e le riprese dall'alto riescono a restituire nella sua complessità di città portuale veneziana con i vicoli tortuosi che portano al mare, i bar affollati e fumosi in stile balcanico, un centro elegante con architetture avveniristiche e design ricercato e le vaste periferie di casermoni stile sovietico. Tra l'altro Novine, di cui su Netflix si possono trovare due stagioni complete, è andato in onda sulla tv pubblica croata, anticipando di fatto alcuni eventi simili che hanno segnato la vita del Paese negli ultimi anni.

Cristina Menegolli

 
 

in rete dal 14 novembre 2019

 
 

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