Figlia mia

Italia/Svizzera/Germania 2018 – 1h 40′

 BERLINO – Proseguendo nella sua ricerca sui vari aspetti della femminilità, la regista italo-albanese Laura Bispuri porta alla Berlinale Figlia mia, unico italiano in concorso. C’era già stata due anni fa con Vergine giurata. Là c’era una donna drammaticamente scissa tra due culture, quella ancestrale dell’Albania e quella italiana di oggi, nonché tra i due aspetti mascolino e femminile della sua personalità; qui lo scontro è tra due diversi modi di essere donna e di conseguenza madre.

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My Brother’s Name Is Robert and He Is an Idiot

Francia/Germania/Svizzera 2018 – 2h 54′

 BERLINO – Aveva fatto parlare di sé con Il grande silenzio (2005), memorabile documentario su una comunità di monaci votati, appunto, al silenzio, poi  aveva ricevuto il Premio speciale della Giuria per La moglie del poliziotto, estenuante dramma sull’incomprensione e sulla violenza coniugale didatticamente diviso in 57 capitoli, ostico alla visione completa e  coraggiosamente distribuito in Italia (Satine Film) con un esiguo riscontro di pubblico. Passati quattro anni (è questo a quanto pare il tempo minimo necessario a Philip Groning per completare una sua opera, di cui è sempre, oltre che regista, autore, fotografo e  e post-produttore), rieccolo a Berlino con questo My Brother’s Name Is Robert and He Is an Idiot. E la musica non cambia.

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Don’t Worry

La storia vera del celebre fumettista John Callahan ritrovatosi in sedia a rotelle dopo un incidente automobilistico all’età di 21 anni. Ma ciò che poteva segnare la fine della sua vita, si rivela l’inizio di un nuovo meraviglioso percorso, in cui scopre di avere un dono nel disegnare vignette capaci di provocare risate o reazioni sdegnate. Van Sant cerca di coniugare le regole del film biografico con una costruzione narrativa più complessa, invitando lo spettatore e superare più di un pregiudizio.


Don’t Worry, He Won’t Get Far on Foot

USA 2018 – 1h 53′

 BERLINO – Don’t Worry, He Won’t Get Far on Foot, il film con cui Gus Van Sant torna ad un grande festival internazionale, dopo il tonfo di The Sea  of Trees (Cannes 2016), è un tributo agiografico del regista di Portland al disegnatore satirico John Callaghan, suo concittadino. Nel raccontarne la parabola esistenziale, dalla abiezione alcolica e relazionale che in seguito ad un grave incidente lo aveva ridotto a soli 21 anni su una sedia a rotelle su su fino alla sobrietà, alla scoperta della vocazione artistica e alla totale riabilitazione, il nostro riprende un’idea di Robin Williams, che gliela aveva proposta e di cui avrebbe voluto essere il protagonista (in effetti, a parte la straordinaria interpretazione di Joaquin Phoenix, non è difficile immaginarlo nel ruolo!).

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Dovlatov

  Russia/Polonia/Serbia 2017 – 2h 6′ BERLINO 68°: Orso d’argento per il miglior contributo artistico  BERLINO – Il giornalista e scrittore russo Sergei Dovlatov (1941-1990) non è molto conosciuto in occidente e (per molto tempo) neanche nella madre patria. Esiliatosi negli Stati Uniti, poté tornare in Russia solo nel 1989, nel nuovo clima propiziato dall’era Gorbaciov, in … Leggi tutto

Woton’s Wake

 USA 1962 – 20′

 TORINO – Siamo ne 1962 ed è il terzo cortometraggio, ma il primo di successo, girato quando De Palma (aveva 22 anni) frequentava la NYU con Martin Scorsese, dopo aver abbandonato gli studi di Fisica. Attraverso il Festival di New York aveva conosciuto in quegli anni il cinema europeo e in particolare la Nouvelle Vague, innamorandosi di Godard.

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Murder à la Mod

 USA 1968 – 1h 20′

 TORINO – Murder à la Mod è il secondo lungometraggio girato da De Palma (dopo The Wedding Party, che uscì però l’anno successivo), ma il primo proiettato in sala, dove riscosse scarso successo di pubblico e di critica. Nonostante l’eccessiva complessità dell’intreccio, che rende arduo per lo spettatore districarsi tra i vari fili della storia, la sua visione costituisce un puro piacere per chi ha amato il suo cinema, in quanto vi si possono trovare molte anticipazioni di temi e modalità di rappresentazione, che costituiranno la marca stilistica di questo autore.

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La donna dello scrittore

Georg in fuga dalla Germania nazista si rifugia a Marsiglia, dove riesce ad ottenere un visto per partire, rubando l’identità di uno scrittore scomparso. Il destino lo porta da incontrare Marie, la moglie dello scrittore, che ignora quale sorte sia toccata al marito e continua a cercarlo. Georg si innamora perdutamente della donna ma non può rivelargli la sua doppia identità… Come nei suoi film precedenti il tema dell’identità è alla base dell’opera di Christian Petzold . Stavolta il giovane regista tedesco porta all’estremo questa sua ricerca riattualizzando un romanzo sulla vicenda di un gruppo di resistenti nella Francia del 1942 occupata dai nazisti.

Transit
Francia 2018  (101′)

 BERLINO – Come nei suoi precedenti La scelta di Barbara e soprattutto Il segreto del suo volto il tema dell’identità (nessuno è ciò che sembra, passato e presente si mischiano e si sovrappongono all’interno di ciascuno di noi) è alla base dell’opera del giovane regista tedesco Christian Petzold . Transit, il film in concorso a Berlino, porta all’estremo questa sua ricerca. La traccia è un romanzo di Anne Seghers, scrittrice militante della Germania est, sulla vicenda di un gruppo di resistenti nella Francia del 1942 occupata dai nazisti.

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1945

In un afoso giorno di agosto del 1945, mentre gli abitanti di un villaggio ungherese si preparano per il matrimonio del figlio del vicario, un treno lascia alla stazione due ebrei ortodossi, uno giovane e l’altro più anziano. Sotto lo sguardo vigile delle truppe occupazioniste sovietiche i due scaricano dal convoglio due casse misteriose e si avviano lentamente verso il paese. Il precario equilibrio che la guerra appena terminata ha lasciato sembra ora minacciato dall’arrivo dei due ebrei. In tutta la comunità si diffondono rapidamente la paura e il sospetto che i tradimenti, le omissioni e i furti, commessi e sepolti durante gli anni di conflitto, possano tornare a galla. In un affascinante, rigoroso bianco e nero il film procede con un ritmo al contempo quieto e incalzante. Una “poetica” di responsabilità universale.

PRIMO PREMIO DELLA CRITICA CINEMATOGRAFICA UNGHERESE

 

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The Woman Who Left

Horacia, dopo aver trascorso trentanni in prigione per un omicidio che non ha commesso, viene liberata e torna al suo villaggio, diventato nel frattempo una città caotica abitata da un’umanità di derelitti. In carcere Horacia, benvoluta da tutti, aveva trovato un suo ruolo soprattutto nel raccontare delle storie; ora si sente disorientata e, abbandonata la casa natale e, usando vari travestimenti, si mescola con quella società di disperati, ai quali si affeziona e che cerca di aiutare. Nel frattempo si mette anche sulle tracce dell’uomo che l’ha fatta finire in galera e del figlio di cui non si hanno più tracce…
Un film fatto tutto di storie: da quella principale a quelle lette e scritte da Horacia, a quelle raccontate dai personaggi che lei incontra. Lav Diaz parte dall’impianto del romanzo ottocentesco ma parla “il suo” linguaggio delle immagini, fatto di piani fissi, di profondità di campo, per provare a indicare una direzione di significato, sempre sfuggente…

VENEZIA 73  LEONE D’ORO

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Kedi – La città dei gatti

Sono centinaia di migliaia i gatti che vagano liberamente nella metropoli di Istanbul. Per migliaia di anni hanno gironzolato dentro e fuori alla vita delle persone, diventando una componente essenziale delle tante comunità che rendono così ricca la città. Vivono tra due mondi – il selvaggio e l’addomesticato – e portano gioia e voglia di vivere alle persone che scelgono di adottare. A Istanbul i gatti sono lo specchio delle persone, e questo incredibile documentario racconta le anime della città attraverso i suoi gatti.

 

USA/Turchia 2017 – 1h 19′

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